venerdì 8 settembre 2017

Il mio mix preferito… Monogrammi imbottiti e fiorellini

ama e ricama
Monogrammi imbottiti e fiorellini 
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Monogrammi imbottiti e fiorellini


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Monogrammi imbottiti e fiorellini ama e ricama 
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UN PO DI STORIA…..
Plinio poi attribuisce l’invenzione dell’arte del ricamo a vari colori ai Frigi, ciò che diede motivo ai Latini di chiamare i ricamatori Phrigiones, e la cosa ricamata, se con oro, auro brutus, se senza brutus, brudatus, o brodatus, da cui i Francesi trassero la denominazione broderie, da broder ricamare, e gli Inglesi embroidery ricamo.
L’arte del ricamo, apparteneva alla pittura, e come tale non era ristretta soltanto alla rappresentazione di capanne ed oggetti d’architettura, campi, giardini, fogliami e fiori, ma a qualsiasi tipo di immagine, di rappresentazioni e storie. Il chierico abate Lanzi associa il ricamo alla pittura, riservando la descrizione nella Scuola Milanese, dove più che altrove fiorì, citandone gli artisti più famosi che adottarono la tecnica di dipingere con ago e filo.
Durante il Medioevo, i nobili europei e particolarmente la chiesa importano il ricamo dall’impero bizantino. Le più importanti opere uscite dai laboratori annessi alle corti sono gli indumenti che venivano utilizzati per le cerimonie importanti del Sacro Romano Impero a Vienna: il grande manto imperiale (1133), la camicia alba (1181), le calze, le scarpe e i guanti. Anche l’Ungheria ha presso la corte di re Stefano e di sua moglie Gisella un laboratorio di ricamo.
Al 1031 risale il pivale di San Stefano del Tesoro di Budapest, con parecchie centinaia di figure, ricamate a quanto si crede dalla regina stessa con doppio filo d’oro su fondo di seta porpora.  Un punto a zig-zag denominato “punto Ungheria”, testimonia l’originalità creativa di questo paese.
In tutto il Quattrocento il ricamo a colori con oro e perle e quello in filo nero su fondo bianco trovano larga applicazione sulle camicie maschili e femminili, come sui fazzoletti e perfino sulle fasce dei bambini.
Si diffonde anche l’uso di ricamare motti ed emblemi sulle vesti e particolarmente sulla manica sinistra. Carlo d’Orleans si fa ricamare sulle maniche di una pellanda i versi di una canzone con la sua musica, le note sono rappresentate con perle su un rigo d’oro.
Il fastoso gusto barocco porta nei ricami un eccesso di applicazioni di gemme. Maria de’ Medici, sposa di Enrico IV, re di Francia, a una cerimonia indosso’ una veste con un ricamo che portava applicate 32.000 perle e 300 brillanti.
Questo mestiere venne praticato in Italia anche dopo la dominazione Romana, in alcuni musei di Ravenna sono conservati alcuni pezzi, alcune striscie di essa, di broccato d’oro, dove sono stati ricamati i  ritratti di Zenone, di Montano e di altri santi vescovi. Quest’opera appartenente al VI secolo ed è stata illustrata dal padre abate Sarti ed anche da Mons. Dionisi.
Era consuetudine ricamare a figure i paramenti sacri per il servizio ecclesiastico, quest’arte non venne interrotta nei secoli successivi. Il Vasari poi in età più colta nomina alcuni noti ricamatori come Paolo da Verona e Nicolò veneziano, il quale servendo in Genova il principe Doria, introdusse Pierin del Vaga in quella Corte e Antonui Ubertini fiorentino.
Anche Lomazzo considera l’arte del ricamo appartenente alla pittura, raccontando ancor di più gli artisti milanesi, tra i primi viene celebrato Luca Schiavone come principe dei ricamatori, che fiorì in Milano circa l’anno 1450, e che condusse questo magistero al più alto grado, comunicandolo a Girolamo Delfinoni da lui ammaestrato con tanta perfezione, che eseguì poi in ricamo il ritratto somigliantissimo del duca Moro, e la vita della beatissima Vergine per il cardinale Bajoza, e tanti altri lavori in gran copia ed assai preziosi e ricercati, aveva acquistato grande fama, tramandando l’arte in famiglia, nella quale si distinse il figlio Scipione Delfinoni, del quale sono celebri le caccie di animali ricamate per Enrico VIII re d’Inghilterra e per Filippo II re di Spagna, non che per altri Sovrani che ne ornavano i loro gabinetti.
Seguì poi le tracce dei maggiori Marc’Antonio figlio di Scipione, che a’tempi del Lomazzo dava indubbie prove di riuscire pari e forse anche migliore del padre e del suo avo, essendo giovane attivissimo, studiosissimo e di non comune aspettazione.
Il Lomazzo cita poi con lode Caterina Cantoni nobile milanese: e non so perchè non abbia ricordato la celebratissima Pellegrini, quella famosa ricamatrice meritamente chiamata la Minerva dè suoi tempi; forse si dimentico’ di lei, o piuttosto non era a lui nota: tra le altre opere della sua mano, che ci sono rimaste, esiste un paliotto con qualche altra sacra suppellettile, che circa l’anno 1625 coll’ago dipinse per il Duomo di Milano, e che tuttora qual preziosa rarità mostrasi ai forestieri entro la sacrestia meridionale. Non si sa di certo se Antonia sia o Lodovica il di lei vero nome, mentre le Guide di Milano del 1783 e 1787 diversificano, e vi fu bel anche perciò chi ha opinato essere state in quel tempo due le distinte ricamatrici in Milano, e che d’accordo o come socie eseguivano tali lavori; ma la più comune opinione, e direi quasi la tradizione non interrotta delle persone alle quali è affidata la custodia dei preziosi arredi della metropolitana, assicura essere Antonia piuttosto che Lodovica, sebbene io sia di sentimento, appoggiato anche ad altre circostanze ed ispezioni oculari del lavoro, essere una sola la ricamatrice distinta, la quale protaba ambedue i nomi di Antonia Lodovica, giusta la pratica di quei tempi, non estranea anche alla nostra età.
Esiste pure nella chiesa di s. macario, comune di Samarate, diocesi di Milano, un bellissimo stendardo lavorato dalla Pellegrini a ricamo d’oro, d0argento e di colori diversi rappresentante da  una parte il santo titolare e dall’altra l’immagine della B.V addolorata, in vari compartimenti che contengono alcuni santi martiri ed i misteri alla Vergine relativi. altri poi della famiglia stessa della Pellegrini ebbero nel XVI secolo nome distinto in tal genere di pittura coll’ago, siccome furono Andrea e Pellegrino suo cugino, dinotato anche nella storia del Palomino qual uomo di grande celebrità per tutto cio’ che fece in Ispagna nell’Escuriale.
Nel secolo XVII il Boschini celebro’ come eccellente e senza pari Dorotea Aromatari, che faceva con l’ago, dice egli, le meraviglie che i pittori di maggior grido più diligenti e più vaghi eseguiscano col pennello.
Rcorda poi anche qualche altra ricamatrice di quell’età, e loda Arcangela Palladini encomiata anche dall’ab. Lanzi per le sue pitture in pari tempo e peri suoi ricami.
Occorre menzionare altri pittori all’ago, che fiorirono nel secolo XVIII e sino alla nostra età, non lasciando più altro a desiderarsi in tal genere di pittura all’ago, bastando sapere che i lavori a ricamo eseguiti nella nostra Milano vengano riputati degni di formare i più distinti ricchissimi arredi dei tempi più ragguardevoli e più insigui dedicati al cucito del Dio de’ Cristiani.
Con l’Ottocento il ricamo in bianco ha importanza soprattutto per la biancheria personale e da letto, con grande varietà di motivi floreali, che ornano in modo particolare le cifre.
In questo periodo l’arte del ricamo è spesso esercitata dalle monache, ma fa anche parte dei requisiti necessari nella classe elevata per una perfetta educazione femminile.
Nel secolo XX si ritorna con maggior diligenza allo studio della tecnica antica e si producono anche ricami ispirati da disegni di gusto moderno. (www.artedelricamo.com)


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